È il silenzio che ti avvolge. D’un tratto ti accorgi che è solo lo sfrigolìo della catena che accompagna il viaggio. Il silenzio è la misura di questa via. Abbandonata la ciclabile cittadina, inerpicandosi sul Carso lasciando alle spalle il mare, la Val Rosandra, dopo Draga è già Slovenia. Profumo d’acacia e il verso del cuculo ci accoglie nei boschi ai piedi dello Slavnik. Klanec, Presnica. Qualche sosta a cercar ciliegie, ancora troppo acerbe, tanta l’acqua quest’anno e il sole forte ancora non s’è visto.
La linea ferroviaria Pola-Divaccia ci accarezza nella prateria carsica prima di raggiungere Podgorie (518m.). Qui inizia la Ciceria, pochi chilometri ancora e sarà lo sparuto confine sloveno-croato ad abbandonarci al silenzio. Poche le macchine che incontriamo, spesso le ritrovi dopo qualche chilometro, ferme nella konoba del paese successivo.
Jelovice (660m.), nubi dense all’orizzonte, una foratura multipla e il bisogno di trovar riparo al temporale che sta montando, così vien buona una sosta prolungata in attesa che spiova. Il tempo di assistere alla produzione del carbone vegetale che ancor oggi, nel rispetto della tradizione, viene prodotto nella terra dei Cici. Scambiare quattro chiacchere con gli ospiti e con l’oste. Il confine che ha chiuso e reso ulteriormente più abbandonate queste terre. La speranza che l’imminente ingresso della Croazia in Europa apra le porte a queste poche anime attaccate ai paesini spolpati dell’altopiano a trenta km da Trieste.
Dopo la grandine arriva anche il sole, le nubi basse donano alle creste solitarie un aspetto fiabesco. Ancora silenzio, fringuelli e usignoli rispuntano sulle cime degli alberi ad asciugarsi.
Vodice, poi ancora la salita costante, mai da alzarsi sui pedali, ci riporta nei boschi di faggio, odore di muschio e di legno. Mune piccole e grande lasciate a sinistra. Žejane, una piccola frazione che ospita ancora una piccola comunità di discendenti dei coloni rumeni in fuga dalle invasioni turche. Cici autentici, quei pochi che sono rimasti e che non hanno abbandonato la loro terra. Una bimba in bicicletta ci segue con sguardo curioso.
Pascoli, frutteti e boschi nel saliscendi d’asfalto in direzione sud-est prima di scartare immergendoci nel bosco di Castua. Trame fitte di faggi e roveri, si avverte il profumo della montagna. Si sale ancora un po’ prima di scollinare e sbucare dall’altro capo dell’Istria, tagliandola in diagonale nel punto più stretto. Il Quarnero lì sotto, una vista impagabile: Fiume, l’isola di Veglia e Il costone severo di Cherso.
Una rasoiata in discesa e l’aria si rifà calda, l’odore del mare e il ritorno alla dimensione turistica della perla del Quarnero: Abbazia. A pochi metri dal mare, ai piedi del Palace Hotel, tre fresche Ozujsko mentre il sole si sta insaccando.
Il golfo è una tavola color lavanda, qualche sedia sdraio ancora aperta, musica e tacchi alti a passeggio sul lungomare. Quanto è lontana la solitudine del pastore che ci ha regalato un cenno, seduto ai bordi della via, le pecore saranno rientrate, la giornata si chiude così. Domani magari non pioverà e si potrà tornare a lavorare nei campi.
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