Capita che, appena la natura si sveglia dal letargo invernale, la bicicletta ritorni ad essere lo strumento migliore per frugare parti del territorio vicine, alla ricerca di dettagli poco noti o opacamente distinti in fugaci transiti motorizzati.
Questa volta l’obiettivo sta alle spalle del confine nella zona collinare a sud di Trieste, in Slovenia: la Savrinia, ambiziosamente chiamata anche Scozia istriana.
La Savrinia (in sloveno Šavrinija) è quella fetta di Istria slovena comprendente l’alta valle del fiume Risano, nel comune di Capodistria che include molti piccoli paesi sul poggio carsico a ridosso della Ciceria.
Se la naturale porta di accesso a queste terre è senza dubbio la placida valle dell’Ospo, l’itinerario ci porta ad affrontare presto le salite che scavallano il Crni Kal portando la rotta a sud-est in salita sui colli che ospitano piccoli paesini di terra e pietre: Predloka, Loka, Bezovica, Podpeč (con la sua torre veneziana circolare) e Zazid. La strada qui continua in direzione Rakitovec, ma il nostro tema ci porta ad invertire il timone entrando nel bosco per raggiungere Hrastovlje, lasciando alle spalle il terrazzo sulla valle di Zanigrad.
Il terreno aspro e roccioso ci accompagna in discesa fino a raggiungere il piccolo insediamento noto per la sua bellissima chiesa fortificata che racchiude al suo interno magnifici affreschi del ‘500 tra i quali la danza macabra. Autore degli affreschi è Giovanni da Castua (l’odierna Kastav, vicino a Rijeka, in Croazia), che si è firmato sia in caratteri latini che glagolitici.
La donna di questa regione è detta Šavrinka. Si trattava di donne molto laboriose, costrette dalle crisi economiche e dalla fame, che spesso affliggevano l’Istria, a badare non solo all’educazione dei figli e alle faccende domestiche, ma anche ai lavori agricoli e alla vendita di prodotti casalinghi nella vicina Trieste, dove si recavano a piedi, accompagnate dall’asinello.
Tradizionalmente le Šavrinke si suddividevano in vari tipi a seconda del lavoro che svolgevano. Le più conosciute e numerose erano le “jajčarice”, che andavano di casa in casa a raccogliere le uova, che deponevano nei panieri che portavano sul capo o nelle bisacce caricate sull’asinello, per poi andarle a vendere a Capodistria o a Trieste. C’erano poi le “krušarice”, che cuocevano il pane in casa e lo vendevano insieme alla frutta e alla verdura, le “mlekarce”, che portavano il latte, le “perice” che raccoglievano la biancheria in città per portarla a lavare a casa e le “kolačarice”, che vendevano dolciumi alle sagre.
Proprio a Cristoglie, al centro del paese, sorge il monumento alla donna istriana Savrina, eterna viaggiatrice, la cui statua raffigura una donna che porta un cesto sulla testa, contenente i prodotti che vendeva nelle città vicine, Trieste, Capodistria e Buie, per aiutare la famiglia a sopravvivere.*
Da qui zigzagando inghiottiti dal bosco, raggiungiamo il poggio di Kubed/Covedo (Co’ vedo Covedo son sul bon – recita un vecchio adagio istriano). E via poi, lungo le dolci colline, sul balcone di Dvori e la discesa che ci riporterà a valle attraversando le frazioni di S.Antonio e Prade.
La chiusa è sempre in riva al mare, scavallata la sella di Rabuiese, respirando insieme alle piante della campagna in pieno risveglio stagionale. Il sole allunga il passo, e così anche al piccolo nomade interno, cresce la fame di nuove strade da addentare.
*rif: Wikipedia
No Comments