Riscoprire il legame tra figlio e padre affrontando un viaggio leggero insieme. La bicicletta diventa lo strumento lento che salda la passione per una terra, insieme alla volontà di ritrovare se stessi riannodando la storia famigliare.
Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo il racconto di Riccardo; una storia nata e costruita quasi per caso lungo l’itinerario della ex-ferrovia istriana e brillantemente illustrata con parole leggere come le giornate di fine estate vissute in Istria dai due viaggiatori lenti. Chissà che l’esperienza non porti a costruire nuove avventure e stimoli per altri viaggi insieme. Grazie amici!
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Trieste e Parenzo: due città così vicine una all’altra, non solo per geografia, ma anche per la storia che le lega. Tutte e due hanno il mare. Entrambe sono e sono state casa delle stesse genti, delle stesse famiglie. Un giorno, gli strateghi dell’Impero Austro-Ungarico decisero di collegarle per convenienza commerciale tramite ferrovia. Come riportano molte fonti, quei binari non furono solamente un modo per scambiarsi prodotti. Non servivano solamente a mandare il buon vino, l’olio fragrante, il grano e quant’altro su e giù per le valli dell’Istria fino a Trieste. Quei binari, di neanche un metro di larghezza, servivano soprattutto a collegare e legare popoli e persone.
Cento e più anni dopo la progettazione della linea, dopo che Trieste e Parenzo sono passate in consegna a nazioni e governanti diversi, e dopo che l’una parla croato ma è italiana nell’anima mentre l’altra è italiana ma è pur sempre la “piazza d’oriente”, la vecchia vena che le collegava ha ripreso a pulsare per il beneficio del viaggiatore lento, di chi si culla nella brezza pomeridiana d’agosto, o di chi si ripara al freddo dell’inverno nelle varie konobe lungo il tracciato. Pedalando o camminando, immersi nella natura, in se stessi, in un paesaggio che cambia dal carsico, al marino, al quasi montano e a tipicamente istriano fatto di terra rossa e vigneti. Una passeggiata, una camminata, un atto liberatorio, quello di arrivare a Parenzo da Trieste. “La strada dell’amicizia e della salute” è infatti la palestra dello stare bene. La traccia è ora percorsa da viandanti curiosi che vogliono rallentare, di appassionati in cerca di avventure e scorci nuovi, di buongustai, ma anche di agricoltori, turisti, ristoratori, che grazie ad essa vivono e danno una seconda vita alla vecchia ferrovia.
L’idea di intraprendere questo viaggio è venuta un po’ di tempo fa. Era un giorno di primavera quando mia madre mi parlò di una persona che, appena conosciuta, le aveva parlato di un tracciato, quello della Parenzana, che aveva poco prima percorso a piedi. Questo gentile viaggiatore fece arrivare tramite mia madre fino a me quello che era il suo diario, un manoscritto digitale delle sue cronache e dei suoi pensieri attraverso i boschi, le polveri e i vigneti della Parenzana. “132 chilometri in 5 giorni” lessi sul suo manoscritto. Sarà stato il momento, sarà stato il fatto che di Parenzana, grazie a mio padre e mio zio, ne avevo già sentito parlare, ma quell’avvenimento mi convinse che semmai avessi avuto l’opportunità durante questo anno, il 2017, avrei intrapreso questo cammino.
Da tempo infatti sognavo di partire leggero, di camminare, di andare lento e soprattutto di scoprire e riscoprire sotto luce diversa luoghi e culture a me familiari. La Parenzana era perciò la pista perfetta. Quella serpentina era lì sulla carta e tra me e me pensai “ce la farò”. Pochi mesi dopo, complice la fine di un lavoro e la prospettiva di iniziarne un altro qualche tempo dopo, quasi inaspettatamente mi resi conto che il progetto della Parenzana era realizzabile. Una sera, in una spiaggia di Lazzaretto, vicino a Muggia, ne parlai con mio padre. 58 anni, esploratore instancabile, specialmente sulle due ruote e con le sue gambe. Di lì il mio progetto iniziale di farla in solitaria a piedi prese la forma di una pedalata in compagnia. La mattina dopo avevamo già comperato i biglietti dell’aliscafo che ci avrebbe poi riportato da Parenzo fino a Trieste con annessi i nostri leggeri bagagli e le biciclette.
Piano piano la data fatidica di partenza si avvicinava: il 17 agosto. Quel numero, il 17, che ha accompagnato gli eventi più importanti della mia vita e che mi ricorda come ci sia sempre un filo conduttore che prende le redini dei nostri percorsi, anche se si tratta di una tranquilla scampagnata in bicicletta. Fatto sta che una volta armatomi del necessario, iniziai a farmi venire strani pensieri. “Ma sarai abbastanza in forma?”, “E se facesse troppo caldo?”, “Ma forse potrei anche farlo un’altra volta quando farà più fresco”. Quel genere di pensieri che non portano a nulla se non a far ristagnare corpo e spirito in dubbi e paure che non hanno motivo di esserci. La soluzione a ciò è partire.
Trieste – Salvore: 58 km
Per fortuna, nonostante il picco dell’estate, il 17 agosto 2017, un giovedì, si presentò non troppo caldo, soleggiato e accompagnato da un borino teso che rinfrescava e puliva l’aria alla perfezione. Presa la bicicletta, mi resi conto di quanto avessi abbandonato e dimenticato il piacere delle due ruote lente. Dopo qualche istante di assestamento sulla sella, mi ritrovai ad imboccare le Rive di Trieste in direzione Piazza Unità d’Italia. L’appuntamento con mio padre era proprio lì, dove ogni triestino sente di essere “a casa”, e dove di rito scattammo qualche fotografia beneaugurante. Il tempo di attraversare la strada, decidemmo di “tagliare” Trieste, nonostante il primo pezzo di Parenzana sia proprio in città. La tentazione di iniziare la giornata via dal traffico ci fece arrivare alla stazione della linea marittima Trieste-Muggia, o più comunemente chiamato dai triestini “Delfino Verde”. Partenza puntuale, odore di nave, di sale e di vacanza. Sapore di avventura perché su un traghetto, con la bici e per di più nella mia città natale, non sono mai salito in vita mia. Con noi tanti vacanzieri italiani e mitteleuropei e un unico ciclista: tedesco, italiano perfetto, riconoscibile solo per quella sua “r” germanica. Con lui uno zaino fluorescente, cartine dettagliate e bici con pedalata assistita. Fa anche lui la Parenzana e non appena arrivati a Muggia, schizza via verso i vicoli seminandoci. Noi infatti abbiamo da sistemare un dettaglio tecnico sulla bici di mio padre. Il traghetto riparte alla volta di Trieste e rimaniamo soli sul molo. Muggia, come qualsiasi altro posto, è invasa da auto. Nei pochi secondi in cui aspetto mio padre rischio di essere preso da un suv che entra trionfante in parcheggio e vengo sgridato da un muggesano con i rayban che grida “ocio”, come per dirmi che se vengo investito, è ovviamente colpa mia. Ci fermiamo a prendere un caffè e delle bottiglie d’acqua. Mi bastano pochi minuti da ciclista a Muggia per farmi ricordare quanto l’auto predomini nel nostro paesaggio moderno, di quanto quanto traffico ci sia e di come alla fine, i ciclisti e gli automobilisti siano amici scomodi sullo stesso asfalto.
Tempo cinque minuti e siamo all’inizio ciclabile della Parenzana. Costeggiamo il Rio Ospo, il fiumiciattolo che geograficamente da’ inizio alla penisola istriana. Lo oltrepassiamo e con esso ci mangiamo velocemente un’incrocio all’inzio dell’abitato di Rabuiese. Rabuiese per me è sempre stato il valico tra Italia e Slovenia, dove tra i vaghi ricordi del passato, ricordo si mostrava il famoso lasciapassare, la prepusnica, ai finanzieri. Ignoravo fino a questi giorni, l’esistenza di un vero e proprio paesino. Case basse, villette rifatte, una con piscina, alberi da fico e le prime avvisaglie della vita di campagna. Si inizia a salire. Profumo di fichi, ulivi, vigneti, la vegetazione è rigogliosa e sembra già di essere in un altro mondo. Potremmo essere infatti alle pendici del Vesuvio o dell’Etna da tanto sembra fertile questa terra. Un paio di colpi di pedale e si vede già il cartello “Slovenia”. Arrivederci Italia. Sento che ora inizia veramente il nostro viaggio. Pochi metri dopo, una roulotte, un signore sudato con pancia al vento, sombrero e fiasconi di vino ci dà il benvenuto in una terra dove tutto è più semplice e dove io stesso alle volte mi rifugio per ritrovare una dimensione piu’ tranquilla e gentile. L’Istria: questa terra che è stata casa di tutte le nostre famiglie. A Trieste poi, credo siano veramente pochi quelli che possono dire di non avere nemmeno un parente, stretto o meno, che non sia istriano. Parlandone con mio padre ci siamo resi conto infatti di come questo viaggio va a ricongiungere tutti i punti e i percorsi della nostra storia di famiglia. Partenza da Trieste per passare a Capodistria, Semedella, Isola, tutti luoghi natii di membri delle nostre famiglie. Lo stesso vale per il territorio ora in Croazia: un villaggio vicino a Montona, luogo in cui la madre di mio padre andava a trascorrere durante l’infanzia ogni estate, per finire nella bellissima Visignano, dove il padre di mia madre e i suoi fratelli trascorsero le loro di infanzie prima di partire per Trieste, l’America e l’Argentina. Una ferrovia che quindi è anche un filo invisibile di ricongiungimento familiare.
Ma torniamo al viaggio. Questo è un pezzo di tracciato molto piacevole e tranquillo tra boschi e prati arsi dal sole. Zucche, pomodori e fichi ai bordi del tracciato. Skofje, stazione di Skofje. Passiamo l’abitato di Albaro Vescovà e la strada scende. E’ la prima discesa del tracciato e ci porta in direzione Bertoki. In lontananza si vede già Capodistria con la sua zona industriale, il campanile e i quartieri periferici. Ad un tratto si passa sopra l’autostrada e il ponte è qualcosa di meraviglioso: si perché la struttura non è lineare, ma è un arco marcato che da’ l’impressione di decollare verso il cielo. Ancora qualche pezzo di discesa e si arriva a costeggiare l’immenso vigneto del Vinakoper, l’azienda vinicola locale. Un breve pezzo in strada e tra una rotonda e l’altra arriviamo in centro, facendo una piccola deviazione. La prima sosta è vicino al mare per un caffè e per riempire le borracce. Tanti sono i turisti e i locali che in quel momento affollano la spiaggia della città. Sullo sfondo c’è il porto di Koper, il principale concorrente a Trieste, e vicino a noi campeggia una Ferrari con targa tedesca. La guardo e sono fiero del nostro andare umile e lento su due ruote e pedali.
Lasciare Capodistria è anche un po’ un sollievo. Dopo uno slalom in un enorme parcheggio, riprendiamo la traccia della D8, la pista ciclabile che ci porterà fino al confine croato di Plovanija. Ma ecco la sorpresa. La vecchia strada costiera tra Capodistria ed Isola è stata riconvertita in una pista per pedoni e bici. Sono quelle sorprese piacevoli che non ti aspetti perché nei miei ricordi questa era invece una delle strade più trafficate di questo punto del litorale. In un men che non si dica, accompagnati da un vento di mare sostenuto e dal blu intenso dell’Adriatico, giungiamo ad Isola. Sosta sotto la pergola del camping all’entrata della città. Il locale è un inno agli anni passati. Musica balcanica, sedie vecchio stile, arredamento semplice. Clienti in canottiera che si godono il relax. Prendo uova all’occhio e pane per fare scorta di proteine e carboidrati, accompagnate da Schweppes lemon e acqua a volontà. Fuori inizia infatti a fare abbastanza caldo, anche se è un caldo ancora piacevole. Ogni colpo di pedale però fa perdere liquidi preziosi.
Alla ripartenza, inizia l’ignoto. La prossima tappa è infatti Lucija, il paese vicino a Portorose. Ma ci arriviamo in un modo totalmente nuovo: la strada infatti si arrampica sulla collina di Isola. Strada sterrata, capannoni in disuso, un cumulo di rifiuti lasciati a marcire al sole. Più in là, una serie di condomini slavati dal sole e dall’umidità. Basta un attimo e si è nei balcani più profondi. Potremmo essere infatti alla periferia di Tirana o di Belgrado. La strada è piacevole e la salita gradevole, costeggiata dai soliti alberi da fico e dal silenzio. Arrivati in cima, la vista della baia di Isola e del Golfo di Trieste ci incanta. Si vede tutto a colpo d’occhio. “Salve, hello”, incrociamo i primi corridori a due ruote che come noi affrontano quel tratto, ma in direzione opposta. Buchiamo il terreno grazie ad un tunnel che fa anche da condizionatore. La temperature interna è una goduria ed è il regalo più bello dopo una lunga salita. All’uscita, si è in un paesaggio bucolico. La valle di Strugnano è verde, rigogliosa di vegetazione, di vigne, di campi e ricca di stradine agricole meravigliose. E’ il pezzo più bello fino ad ora. Potremmo essere in Spagna, ma anche nei Balcani, sull’Appia Antica o in Toscana. Ulivi, alberi da fico, mele cotogne che già richiamano l’Oriente. I vigneti si accavallano e fanno a pugni per guadagnarsi il loro spazio, per crescere rigogliosi e per offrire all’uomo il loro prodotto più buono.
Ma di lì a poco, tutto cambia di nuovo. Ed è forse questa la magia della Parenzana. Se ad un tratto si è immersi in un paesaggio tipicamente da pianura, poco dopo bisogna ricredersi vedendo il mare luccicare. E ancora, quello che è un paesaggio carsico, quasi lunare, bruciato dal sole, poco dopo fa spazio alla terra rossa, fertile, ricca di minerali che potrebbe essere facilmente scambiata per un pezzo di Congo impiantato nel cuore dell’Europa. Ma così è l’Istria, così è questa terra. Terra dove dominano diversi paesaggi, di persone diverse abituate al diverso e ai cambiamenti. Buchiamo nuovamente la terra grazie ad un tunnel e sotto di noi si apre la baia di Portorose. Al di là di quella baia è già Croazia. Ma per arrivarci dovremo fare ancora qualche chilometro.
Scendiamo per un pezzo asfaltato in discesa, tra casette residenziali e ville glamour appena restaurate. Un paio di curve e si è di nuovo a livello del mare. Lucija, stazione di Lucija. E da qui? Dove si va? Come si avanza? La grande sorpresa è che il tracciato passa nel bel mezzo di un camping. Si entra con le bici nella struttura dove centinaia di vacanzieri hanno piantato tende, roulottes, asciugamani, pentole e padelle. Potrei essere uno di loro: andatura da vacanza, sembra che con la mia bici stia andando dalla reception fino alla mia tenda. Invece, nonostante il look e l’andatura, a fregarmi sono le borse: rivelano infatti che sono di passaggio e che continuerò in quello che sarà l’ultimo pezzo di questa prima giornata di Parenzana.
Con questo spirito iniziamo gli ultimi chilometri in Slovenia. Per passare oltre la baia costeggiamo le saline di Sicciole. Un tempo, fonte di sostentamento, di vita per centinaia di salinai. Ora fonte di attrazione turistica ben preservata dall’amministrazione locale. Nonostante il paesaggio meraviglioso, la mente è gia’ oltre confine. Guarda avanti cercando il cartello “Granica”, confine. La testa infatti cerca il posto di blocco per dire, “sì, un altro traguardo raggiunto”. E infatti, dopo pochi chilometri si giunge al valico di Plovanija. Ci fermiamo in un piccolo stand sulla strada che riassume alla perfezione quello che può essere il paesaggio balcanico in Serbia, in Macedonia, in Albania. Una signora gentile ci dà da bere. Un po’ stremati dalla bolla di calore del pomeriggio godiamo del fresco all’ombra dello stand, nel cortile di una famiglia che ripara automobili arrugginite. Un fiumiciattolo scorre vicino a noi. Erbacce alte. Un palo nel giardino sostiene due altalene pericolanti. Prendo una scatola di kikiriki e la finisco in un attimo. Anche qui beviamo, beviamo e beviamo. Solo in questa sosta beviamo più di un litro e mezzo. E’ l’unica maniera per rimanere lucidi e per mantenere le energie. Soste frequenti e lunghe bevute di acqua e bevande zuccherate. La signora ci regala qualcosa che è come un tesoro per noi in quel momento: acqua ghiacciata che ci serve per riempire le borracce. La ringraziamo calorosamente e ripartiamo felici. Sulla strada, le auto in coda cercano nervosamente il posto di blocco e il via libera verso le spiagge e la libertà. Austria, Olanda, Lussemburgo, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Italia, Francia,
Slovenia e Croazia. C’è mezza Europa in coda a Plovanija che attende il proprio turno tra gas di scarico, passaporti e carte di identità. I nostri umili telai a pedali ci permettono di arrivare davanti ai finanzieri indisturbati e di passare come se avessimo una corsia preferenziale a disposizione. In un batter d’occhio siamo oltre. Republika Hrvatska. A destra il Casinò Mulino e la traccia della Parenzana. Si torna a salire, nel calore del pomeriggio.
Gli ultimi chilometri sono sempre i più duri. Entrare in Croazia significa che la traccia lascia definitivamente l’asfalto e diventa strada bianca, con un acciottolato sconnesso e a tratti un po’ difficile. Ci vogliono un paio di chilometri per abituarsi alla nuova andatura e al nuovo assetto sul sellino, non più rivolto a scattare avanti, ma più che altro a proteggersi dalle buche. Si sale, si sale e sulla destra compare, bellissima, Pirano, illuminata dalla luce della sera. E’ uno spettacolo mozzafiato. Al primo vidikovac, punto d’avvistamento, ci fermiamo per un’altra sosta. La Parenzana sta per arrivare alla stazione di Salvore e disegna un’ampia curva ad U prima di continuare a salire verso Markovac, Kaldanija e Buje. Sono le 18:30 e stiamo pedalando da questa mattina. Di qui la decisione, complice il fatto di non aver prenotato nulla lungo il percorso, di provare a dormire sul mare, proprio a Salvore. L’abitato è però ancora lontano 13km. Prendiamo una strada bianca alternativa che si rivela un po’ difficile: continui sali-scendi, pietre degne da massicciata ferroviaria e ghiaia a tratti profonda non facilitano l’avvicinamento al faro di punta Salvore. Ci mettiamo un’ora per arrivare a destinazione e trovare una sistemazione, per altro molto buona. Felici, un po’ stanchi, ma con già voglia di ripartire l’indomani, ci abbandoniamo ad un sogno: quello di trascorrere finalmente una notte a Salvore. Essendo vicina a Trieste, Salvore esercita un’attrazione magnetica per i triestini e come molte altre, anche la nostra famiglia è andata spesso in gita e al mare da queste parti. Complice però la vicinanza con Trieste, non è mai stata meta di pernottamento, nonostante sia un paradiso di ristoranti di pesce, silenzio e di meravigliosi tramonti sul mare. Ecco finalmente l’occasione giusta. La sera infatti ci facciamo cullare dalle onde del mare, degustando calamari alla griglia, insalata di polpo e alici salate. La luna alta, le stelle e i grilli accompagnano un sonno ristoratore.
(1 – continua)
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