Con questo articolo vogliamo dare inizio alla prima rubrica tematica del nostro sito. Il nome ancora provvisorio del contenitore è “Storie adriatiche” e qui, supportati dall’amica Chiara Urbani, racconteremo la costa nord-orientale dell’adriatico e le sue terre, attraverso le usanze, i mestieri le abitudini e le tradizioni delle genti locali. Stay tuned!
Antichi mestieri: la pesca
La città di Muggia deriva la sua storia e le sue tradizioni dall’indissolubile legame con il mare, che è stato vissuto e storicamente definito in modi diversi: da un lato, la memoria popolare lo interpreta in qualità di fronte bellico, luogo di combattimenti e sanguinose battaglie per sfuggire a dominazioni alterne, che hanno visto susseguirsi tanto le mire espansionistiche del Patriarcato d’Aquileia che la dominazione veneziana e il conflitto con i territori asburgici. Dall’altro lato, il mare ha sempre rappresentato una risorsa importante per le attività economiche: tra queste la pesca ha sempre costituito l’attività principale, destinata al sostentamento della popolazione, diventando base dell’alimentazione e dell’arte culinaria muggesana.
Le piccole imbarcazioni da pesca si concentrano per lo più entro il porticciolo a darsena (mandracchio) in prossimità del centro storico, racchiuso entro la cerchia delle mura contrassegnate dalla presenza delle porte d’accesso di origine tardo romanica-medioevale.
Il mandracchio di Riva de Amicis custodisce entro il riparo del porto i natanti di piccola stazza, adatti ad ormeggiare in prossimità di fondali poco profondi, e al riparo dal vento di Bora che soffia impetuosa da est-nordest. La popolazione anziana utilizza ancora le barche di legno come i caìci e le batèle per uscire in mare per la pesca di piccoli molluschi, seppie o calamari, o per il semplice piacere di insegnare ai nipoti ad usare la lenza (togna) da fermo per divertirsi nella pesca di piccoli pesci da scoglio.
Il molo Colombo ospita ai suoi ormeggi una piccola flotta di pescherecci con i natanti più grandi ed attrezzati, che operano nel Golfo di Trieste entro una linea ideale che congiunge Grado a Salvore (Savudrija).
Giunta la sera, i pescherecci raggiungono il mare aperto e individuano un banco di pesci: gettano la saccaleva o rete di circuzione, che si allarga per un vasto perimetro sulla superficie marina, in corrispondenza dell’area da delimitare per catturare il prezioso bottino. La barca più piccola detta satellite, munita di forti lampade, si stacca dal peschereccio a raggiungere il centro dell’area delimitata, attirando sotto di sé la concentrazione di pesci, e restandovi per diverse ore, ferma nella notte scura, ad aspettare che il banco si raduni. La saccaleva viene così gettata tutt’attorno, per poi racchiudersi attorno al banco grazie ai piombi ad anelli di ferro posti nella parte inferiore della rete, che la chiude a sacco trascinando con sé il prezioso carico. Il pesce verrà poi caricato a bordo tramite reti più piccole, trascinate dalla cima di un’asta detta voliga.
Nelle calde notti estive senza luna, le più adatte per questo tipo di pesca, è possibile ammirare la linea dell’orizzonte del Golfo di Trieste punteggiato dalle luci dei pescherecci al largo, che regalano un’atmosfera suggestiva a chi li guarda dalla costa, e nel contempo rimandano alla memoria la fatica e alla passione dei coloro che, con l’antico mestiere della pesca, continuano a riprodurre, incessantemente, pratiche e consuetudini marinaresche tramandate di generazione in generazione, riproposte in virtù della conservazione della memoria storica da ripercorrere con i figli o nipoti che vorranno intraprendere e rinnovare quest’antichissimo mestiere, e il patrimonio culturale e storico di inestimabile valore che reca con sè.
La stagione ideale per questo tipo di pesca va dalla primavera all’autunno, in corrispondenza delle migrazioni del pesce azzurro che, dopo aver svernato negli ampi fondali del basso Adriatico, risale verso le coste.
A novembre e gennaio sopravvive la pesca delle passere che si avvicinano alla costa per deporre le uova. I pescatori calano in mare le paselère, reti da posta che catturano le passere che vengono poi mantenute vive entro grandi ceste appese sotto la barca, e vendute ai muggesani che aspettano con impazienza l’arrivo delle imbarcazioni all’ormeggio. L’assembramento di gente che aspetta di acquistare le passere rappresenta un vero e proprio rito, irrinunciabile per ogni muggesano, che approfitta dell’occasione per conquistare il pescato migliore per il brodetto.
Uno dei piatti più famosi della tradizione marinara muggesana rimanda al piatto “di magro” per eccellenza, che veniva presentato in tavola, immancabilmente, la Vigilia di Natale: trattasi della passera fritta con le verze, incontro simbolico della prelibatezza dei doni del mare con i prodotti della campagna, connubio dei sapori “di mare” e di quelli “di monte”.
Nonostante la varietà dei prodotti, la pesca muggesana si caratterizza prevalentemente per la sua vocazione di pesca di sabbia o di fango, un tempo praticata nel cosiddetto Vallone di Muggia, che s’incontra scendendo da Aquilinia prima di arrivare a Muggia, in corrispondenza con la foce dell’Ospo e con l’area delle antiche saline. Le acque basse e riparate, ossigenate dall’apporto fluviale, costituivano un tempo l’ambiente ideale per il proliferare di colonie di cefali, branzini, anguille e orate, oltre a pregiati e gustosissimi molluschi. La variazione dell’equilibrio ecosistemico legato alla riduzione dell’apporto fluviale ha favorito di recente alcune specie che prediligono acque saline e un ambiente scogliero, favorendo di conseguenza la concentrazione delle attività di pesca sportiva lungo la fascia costiera che dal porticciolo conduce fino a Lazzaretto.
Chiara Urbani
Un po’ di foto
[gdl_gallery title=”la-pesca” width=”145″ height=”90″ ]
No Comments