Ottobre si chiude con giornate dolci, un caldo e umido respiro sale dall’Adriatico. Dopo le piogge il Carso è avvolto nella foschia, piccolissime perline d’acqua in sospensione tra la terra e il cielo color cenere.
In bicicletta si sale per sfuggire alla città. Da San Giacomo alla Val Rosandra, si abbandona l’asfalto, un caffè a Draga e il gruppetto di dodici amici sfila in direzione Slovenia. La rotta è segnata: Klanec, Presnica e Podgorje per poi passare il confine croato e farsi inghiottire dalla Ciceria, terra antica di sofferenze, aspra, arida e fredda. Luogo di pastori, contadini e carbonai, di nomadi, profughi “ciribiri” di etnia Istroromena, provenienti dal sud-est dei Balcani.
Terra, un tempo di commercio di carbon dolce e aceto, oggi alture di emigrazione ai margini del turismo che conta.
In questo periodo però, queste alture offrono il loro lato più mansueto, tra i roveri color aragosta e l’erba verde come il vischio. E’ forse proprio ad autunno che questa terra offre il suo volto migliore.
Morbide pendenze, si pedala nel silenzio, poche le automobili lungo la strada. Si sale ancora un po’, poi un pelino più in sù c’è il paesino che ci aspetta. Cacciatori e cani sono nervosi, si ascoltano racconti di prede tra il trillo dei bicchieri e l’odore della carne in cucina. Si sovrappongono lingue diverse, battute e risate davanti al banco dell’oste, fuori la nebbia e il silenzio.
Un piatto con il prosciutto e il formaggio di casa, accompagnato dal pane fresco e poi fusi e gnocchi con l’immancabile galina, o la selvaggina che dal cacciatore Lovac non può mancare.
Ma è già l’ora del rientro, abbiamo passato il giro di boa dell’ora legale e quindi la notte cala ancor prima. Qui si accende il camino, i ceppi crepitano sotto le lingue del fuoco. Ancora qualche settimana e arriva il freddo, forse anche la prima neve.
Si chiude una stagione, ripiomba il silenzio nel buio dell’altipiano, solo la catena sfrigola sulla strada verso la città.
Un po’ di foto
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