Un viaggio per ascoltare la terra nuda e per cercare il silenzio lontano da rotte e clamori da stagioni sold-out.
A Muggia, il “capo”* si prende al banco, tra il vociare delle donne nel caffè e i barconi dei pescatori. Sali in sella perché la Parenzana ti chiama, un giro di pedale e la direzione è presa.
Il picchio si annuncia già alla partenza, tra la sella di Rabuiese il suo tambureggiare suona sordo nella boscaglia. Capodistria, Isola e il litorale sloveno sfilano come cartoline stinte nella mattina invernale. Qui il treno tirava e frenava per scendere nella valle di Strugnano fino al passare del Castrolago.
Un secondo caffè lo possiamo gustare anche a Portorose nella riviera dei fiori, sul mare, scaldati dal sole che ora si fa largo tra le nuvole opache.
Le saline e il Dragogna lasciano spazio al Carso istriano, il fondo ora si fa gibboso come la schiena di un preistorico Sauro. La vista si apre, in fondo Pirano e le vasche degli allevamenti ittici. Una sosta a rendere il saluto a Giuseppe, ultimo ospite invisibile della piccola stazione di Salvore e via a seguire le gobbe in direzione di Buie accompagnati dal trillo delle cincie.
Si continua a salire lentamente, il mare ormai l’abbiamo lasciato alle spalle – lo ritroveremo più a sud, a Parenzo, dove la stagione è ancora assopita.
Il cambio ticchetta in salita, poi si quieta e infine si sgrana ancora come un metallico rosario in discesa.
A Grisignana, terra del buon olio, l’amica Ketrin ci aspetta per l’assaggio del suo prezioso elisir, per raccontare della sua terra e raccontare dei suoi figli, quelli alberelli secolari aggrappati ai pendii sopra la valle del Quieto.
L’aria frizzante taglia la pelle del viso in discesa ma le squame del ciclista moderno non lasciano passare il vento invernale.
Qui, cerchi qualche odore ma non lo avverti, la natura ancora aspetta; solo qualche timido mandorlo abbozza un cappello fiorito e ciuffi di primule addobbano il sottobosco. Più tardi l’amico Lino tramanda la saggezza dei padri: “la semina va fatta nel letto caldo – niente nasce dentro il letto freddo”. E la natura quindi prudentemente aspetta.
Anche a tavola è la stagione che imbandisce il piatto: a sera arrivano i primi con la selvaggina, gli immancabili fusi con la gallina, i primissimi asparagi o bruscandoli e poi frittate con le salsicce della casa, patate in tecia con i crauti fumanti e il pane fatto in casa. Oppure i molluschi tra le tagliatelle e gli scampi rossi nel piatto che troveremo in riva al mare.
All’alba del mattino, il silenzio avvolge tutta la valle: il lontano latrato di un cane senza compagnia, il rintocco della piccola chiesetta di Raccotole, il canto del gallo e ancora il picchio che ticchetta da una sponda all’altra del bosco.
La traccia dopo le ultime dolci salite, passata Visinada, scende dolcemente nella piana verso occidente. Un contadino toglie la mano dalla zappa e saluta il passaggio, ci sono i filari da preparare, ancora qualche settimana e qui tutto rinasce.
Giù a scendere lentamente zigzagando tra le terre rosse e le viti spoglie, pedalando morbidi, incontrando Visignano.
Quando appaiono le chiome dei pini marittimi manca poco al mare, ancora qualche chilometro tra gli arbusti secchi e la strada bianca e ritroveremo l’asfalto.
Gli ultimi colpi di freno tirati davanti alla vecchia stazione. Il treno sbuffa ancora al capolinea e scarica le sue sacre merci.
Gli amici e compagni di cavallo sfilano, tagliando la tramontana che fa la barba al mare, e tu lì, a guardare il profilo di Parenzo. Città svestita come la terra che aspetta che il suo letto si scaldi.
* – caffè macchiato
Un po’ di foto
[gdl_gallery title=”winter parenzana” width=”145″ height=”90″ ]
No Comments